Intervista alla Dott.ssa Maria Consiglia Calabrese

postato il 15·12·2019 in

Dott.ssa Maria Consiglia Calabrese - Unisa - Docente di Fisioterapia

Nel 2012 ho avuto la fortuna di conoscere la Dottoressa Maria Consiglia Calabrese. Ero in procinto di cominciare il mio percorso di laurea in fisioterapia e lei era (ed è) la coordinatrice del corso. Provenivo da Scienze Motorie e dai primi anni di osteopatia, ma sin dalle prime lezioni introduttive mi spiazzò con alcune domande. La neurologia classica era qualcosa di noto ormai per me. Ovviamente non ero un esperto neurologo, ma avevo consolidato nel percorso dei miei studi alcune nozioni fondamentali sulla neurologia che immediatamente vennero sovvertite dalle sue domande. Immaginare il cervello come qualcosa di dinamico e modificabile era qualcosa di inaudito e che lasciava ampi spazi di manovra alle mie idee e alla mia fantasia.

Ore di lezioni trascorse insieme, approfondendo ricerche e mettendo a punto nuove tipologie di lavoro calibrate sulle esigenze specifiche dei pazienti. Ex studenti, e ormai fisioterapisti, che si aggregavano alle nostre lezioni per poter carpire qualche altro segreto dietro questo fantomatico mondo della riabilitazione neurocognitiva. Era sinonimo che, dietro quelle parole e quella preparazione, ci fosse una donna importante.

Tre anni sono passati presto, ma sono stati utili per conoscere una persona molto carismatica, che ha costruito i successi personali e professionali grazie alla sua tenacia e caparbietà. E’ da sempre apprezzata dai suoi colleghi per aver difeso le sorti di un’intera categoria: quella dei fisioterapisti. Il suo sogno è da sempre quello di uniformare e creare spessore culturale e professionale in questo mondo e il succo del suo lavoro quotidiano basato sulla divulgazione e sulla formazione si evidenzia sempre più.

Parola alla Dottoressa...

Cosa rappresenta per lei la fisioterapia?

Uno stile di vita, perchè avere piena fiducia nella riabilitazione e nella fisioterapia ha improntato in maniera determinante tutta la mia vita.
Volendo rispondere con la testa, la fisioterapia è una cosa a me molto cara perchè ho la possibilità di fare ogni giorno ciò che mi piace. mi piace insegnare riabilitazione ed ho la fortuna di farlo, è uno dei tesori che tengo nel mio zaino personale, perchè penso che siano poche le persone che oggi affermano di fare ciò che gli piace. Tuttora risulta difficile affermare che la riabilitazione sia una scienza a sè stante e avremmo già da tempo dovuto capire quali sono le basi epistemiologiche della riabilitazione che, è vero, fanno ricorso a quelle che sono le scienze mediche di base ma non solo a quelle.

A chi si è ispirata nella sua professione?

Ho avuto sicuramente un grande mentore che mi ha dato l’input per iniziare a ragionare in un certo modo, ed è stata la mia fonte di ispirazione per molto tempo. Ma un buon maestro è veramente capace quando riesce a consentire ai propri allievi di spiccare il volo, come spero sempre riescano a fare i miei allievi, e così ho fatto io in maniera autonoma. ho avuto la fortuna di avere un grande mentore e ritengo che ciò sia determinante nella costruzione di un percorso professionale. ho avuto la fortuna di avere più di un grande mentore, Paola Caruso.

Che cos'è l'approccio neurocognitivo?

È una scelta di approccio alla riabilitazione che guida un tipologia di lavoro. Si tratta di pensare alla riabilitazione in un determinato modo e costruire intorno a questo pensiero tutto il proprio agire riabilitativo, a tal proposito Carlo Perfetti è stato sicuramente un grande mentore, come tutti i colleghi fisioterapisti che ho incontrato lungo il mio percorso neurocognitivo, Paola Caruso prima tra queste.

In quali patologie è più indicato?

Non è possibile definire un numero di patologie per cui l’approccio neurocognitivo sia indicato o meno, è sicuramente una modalità di proposta dell’esercizio sulla base dell’interpretazione della patologia.
Il punto è: quali patologie sono interpretabili in modo tale da costruirvi un esercizio in ottica neurocognitiva? a mio avviso tutte. Dipende dal saper individuare lo specifico patologico in maniera corretta. Non ho avuto problemi a proporre tale approccio anche a pazienti con problematiche cardiovascolari.

Come fa un paziente a capire se l’approccio utilizzato del fisioterapista è idoneo al suo problema?

Penso che la domanda vada posta in questi termini: come fa un paziente a capire se una determinata proposta terapeutica sia efficace per lui?
Lo capisce se acquisisce competenze spendibili al di fuori della palestra, al di fuori del trattamento guidato. Se ad esempio un paziente durante la terapia è capace di realizzare delle attività che non saprà più ripetere autonomamente nella sua quotidianità io non sono stata una brava terapista o l’approccio non è risultato efficace. Devo rendere autonomo il mio paziente consentendogli il raggiungimento di una condotta motoria più evoluta possibile rispetto alla lesione che presenta, in modo tale che sia capace di scegliere il percorso e la strategia più adatta alla realizzazione del suo obiettivo.

Quali sono le prospettive future per i fisioterapisti italiani e in particolar modo i campani?

Bella domanda; il nostro problema storico è sempre stato l’abusivismo, il tentativo delle persone sprovviste di titolo regolare, di strumenti e competenze, di impossessarsi della nostra professione. Problema particolarmente sentito nella nostra regione, dove in realtà molti pseudo terapisti, improvvisatisi acconciaossa, hanno tramandato questa sorta di arte nel tempo.

Accanto a loro ci sono poi i laureati in scienze motorie che hanno tentato di inserirsi a gamba tesa nel percorso riabilitativo di competenza delle professioni sanitarie. Abbiamo assistito anche ad altri tentativi simili, da parte di figure non ben definite; ma oggi questo problema è parzialmente superato in quanto esiste l’iscrizione all’albo delle professioni sanitarie tecniche e della riabilitazione, che afferisce all’ordine dei tecnici di radiologia medica.

Personalmente ritengo che la riabilitazione sia la vera sfida per combattere la cronicità, per le malattie croniche infatti si spende una quantità di denaro immensa e l’unico modo per contenere sia le spese che i rischi della cronicità è la riabilitazione in ottica della fisioterapia proattiva, ossia del chronic care model.

Non è il paziente a chiedere aiuto ma un sistema sanitario che individua un soggetto portatore di una malattia cronica e lo inserisce in un programma di monitoraggio e di riabilitazione.

Per fare ciò bisognerebbe aumentare i post physiotherapist nell’acuto, quanto più precocemente possibile, e inserirli in ogni reparto - non esiste un reparto in cui non possa essere utile il loro intervento. Va inoltre implementata la riabilitazione territoriale e quindi va sensibilizzato il passaggio ospedale-territorio rendendo tutto molto più fluido e diminuendo i tempi di attesa per ottenere il post physiotherapist da parte del paziente. Bisogna prendere in carico soprattutto le fasce deboli che troppo spesso si ritrovano in lunghe liste d’attesa; ma anche i soggetti in età evolutiva, età adulta ed età geriatrica, poiché l’età media aumenta sempre e si è modificato il quadro epidemiologico, questo dunque richiede nuovi modelli organizzativi.

Abbiamo gli strumenti adeguati per permettere ai soggetti di vivere a lungo e di vivere bene, ma perchè considerarli solo come un costo e non come un risparmio o come progresso? Dateci modo di dimostrarlo e noi lo faremo.

Come immagina il suo futuro professionale?

Come ho già detto, mi ritengo fortunata e mi piace ciò che ho, ma vorrei che tanti nostri colleghi riuscissero a pubblicare, ad entrare nell’accademia, a fare veramente scienza nel meccanismo di formazione autentico. Lo desidero per me, ma soprattutto per i miei studenti, ripeto sempre loro di pubblicare fin da subito, di entrare in accademia mediante dottorati di ricerca e borse di studio perché questo è l’unico modo per permettere alla fisioterapia di essere considerata e riconosciuta come scienza a tutti gli effetti.

 


 

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